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Il Sinodo che non cambia niente (Il Cittadino)

Il Sinodo non serve a niente. Non cambia nulla. Non arriva.
È facile sentirne parlare in questi termini, nel generale clima di sfiducia e notizie funeste cui ci stiamo abituando (noi già maestri del “mugugno”). E nessuno nega i tanti limiti di un processo complesso, ambizioso, che la chiesa affronta per la prima volta nella storia in un modo così profondo.

Eppure, sabato 16 dicembre scorso nella sala delle Immacolatine di Piazza Paolo Da Novi c’erano di nuovo più di 130 persone, per la seconda assemblea sinodale di questo terzo anno. Di tutti i tipi, laiche e laici dalle parrocchie più lontane, religiose e religiosi di varie nazionalità, parroci e vicari. E non 130 persone sedute ad ascoltare una conferenza, ma suddivise in 13 tavoli di lavoro, tavole “rotonde” dove conta non tanto il titolo o la biografia ma la qualità dell’ascolto e della condivisione, delle idee e delle esperienze vissute. Raccontarla non rende giustizia: è una sensazione che va provata, quella di trovarsi a ragionare delle nostre prospettive pastorali senza un punto di arrivo già fissato, senza stare sulla difensiva, senza dover competere o affermarsi o assecondare qualcuno che ha a priori l’ultima parola.

In una divisione spontanea i vari tavoli hanno scelto di concentrarsi su una sola delle tre “sfide” legate al tema “Linguaggio e comunicazione”: 1) la sfida della fraternità culturale (un nuovo discorso cristiano capace di confrontarsi con la condizione umana di oggi); 2) come camminare al fianco del giovani (pratiche e linguaggi coinvolgenti); 3) una liturgia che incontra la vita (modalità e pratiche per ripensare riti vicini alla vita delle persone). Su quest’ultimo tema sono emerse forti le esigenze di ridare centralità al Vangelo (commentato con competenza) e alle buone notizie che offre e che dovremmo incarnare, di favorire prima di tutto momenti dove si ricostruisce la comunità (senza comunità, il rito è un formalismo), e di preoccuparsi sempre – nel rito – di toccare la vita e l’attualità che riguarda le persone. L’arte del celebrare si può riscoprire oggi solo lasciando una creatività capace di adattarsi alle situazioni, ai gruppi, ai contesti. E la riscoperta del bisogno di “celebrare” può avvenire solo se si vive insieme un’esperienza inclusiva di comunità, servizio, impegno forte per l’umanità.

Per camminare al fianco dei giovani, in diversi gruppi si è condivisa l’esigenza di approfondire di più la sociologia odierna che ne racconta i mondi vitali. Cosa sono “i giovani” oggi? È chiaro a tanti che solo proponendo esperienze concrete di vita comune, di servizio, di impegno è possibile aprire un terreno di confronto e maturazione fecondo, magari anche intergenerazionale. Ma ancora più importante riuscire davvero a dare fiducia e responsabilità permettendo che siano i più giovani ad esprimere visioni sul mondo, desideri, progetti e idee sul loro percorso, spazi ed esperienze da vivere. Coinvolgendoli in particolare nell’approfondire le dinamiche della comunicazione e del digitale oggi.

Su come rinnovare i linguaggi per un messaggio cristiano capace di interagire con la vita delle persone di oggi, si è condiviso in vari tavoli il problema di due concezioni di chiesa che confliggono, una dedita a incarnare la buona notizia data da Gesù nel mondo di oggi, l’altra preoccupata che cambiare le forme di questo annuncio significhi tradirne il contenuto. Tra le prospettive, quella di dare spazio al protagonismo di più voci, di favorire maggiore comunicazione ordinaria di iniziative, esperienze, proposte, e di condividere a tutti i livelli una interpretazione biblica aggiornata della Scrittura.

Certo il cammino sinodale è ancora in atto, e questi sono contributi che arriveranno a Roma insieme a quelli di tutte le diocesi italiane, prima di intraprendere una fase operativa. Ma il clima di ascolto e arricchimento reciproco, incoraggiamento alla creatività e alla collaborazione, che si vive in queste occasioni di lavoro di squadra, già fa sentire un suo impatto reale. E ci fa imparare gradualmente un metodo di cura collettiva della pastorale, sempre più corrispondente ad un territorio cittadino che dal “parroco tuttofare” sta compiendo la transizione verso “team” pastorali che dispongono in una logica di servizio alla comunità i suoi molti carismi, vero motore della chiesa nel terzo millennio.

Approfondimenti e prossimi incontri su https://www.extragenovasinodale.it/

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Camminatore, comunicatore e musicista, Giacomo D'Alessandro vive a Genova. Le prime tracce di un blog ispirato alla figura del "ramingo" sono del settembre 2006. Una lunga e variopinta avventura tra il camminare e il raccontare, in tanti modi, grazie a tanti compagni di viaggio.